Viaggio nel calcio europeo: una Germania al TOP
Un viaggio nel Calcio Nazionale di Inghilterra, Germania, Spagna e Francia. Andiamo in Germania, al TOP negli ultimi anni. |
YouCoach fa un Giro in Europa.
Proveremo a raccontare (con l’ausilio di dati, cifre, regolamenti, programmi, citazioni) come in alcuni Paesi europei le Federazioni Calcistiche abbiano pianificato (chi ormai già da qualche lustro, chi solo da pochi anni) il proprio Futuro.
Come hanno provveduto a darsi un’organizzazione, una progettazione, una programmazione che basino le proprie fondamenta su di una Filosofia (di gioco) ben delineata e su di un’Etica (sportiva)condivisa da tutti i protagonisti in gioco: dalla cima della piramide (la Federazione, per l’appunto) giù giù sino alla sua base, composta da tecnici, formatori, giocatori, media e tifosi.
GERMANIA
Fino al calcio d’inizio del Mondiale russo la Germania primo posto nella classifica mondiale della FIFA.
Vittoriosa quattro volte ai Campionati Mondiali, tre volte agli Europei, una alla Confederation Cup.
Ha disputato ben otto finali mondiali e sei finali europee (entrambi record assoluti).
Si è piazzata tra le prime quattro per ben 13 volte ai Mondiali, per 9 volte agli Europei.
Con il 7-1 inflitto al Brasile nel 2014 ha ottenuto la più ampia vittoria in una semifinale mondiale.
Vincendolo in finale contro l’Argentina, è l’unica nazionale europea ad aver vinto un Mondiale nel continente americano.
Questa, Signori, è la Germania del calcio.
Se si scorre la storia della nazionale teutonica sono davvero pochi i periodi in cui non si registrano vittorie, o perlomeno semifinali o finali ai tornei continentali e mondiali più importanti.
DAL PERIODO DI CRISI ALLA RIFORMA DEI SETTORI GIOVANILI
Eppure un Momento No, precedentemente a quello che si è recentemente materializzato, dopo l’inattesa sconfitta contro la Corea del Sud e la conseguente inopinata eliminazione dalla WorldCup 2018, c’era già stato: parliamo degli anni intercorsi tra il fallimento mondiale del 1998 (eliminazione ai quarti ad opera della Croazia) ed il campionato Europeo 2004, dove l’eliminazione arrivò addirittura al primo turno, senza nemmeno una vittoria conseguita nelle tre partite giocate contro Olanda, Repubblica Ceca e Lettonia.
In mezzo, un altro europeo fallimentare, in Belgio e Paesi Bassi, ed un unico torneo capace, almeno parzialmente, di risollevare il morale, il Mondiale nippo-coreano del 2002, dove era sstata raggiunta la finale, poi persa contro il Brasile di Ronaldo e Ronaldinho.
Meno di un decennio soffrendo lontano dai consueti, massimi livelli allertò la dirigenza federale tedesca a tal punto da convincerla ad avviare una importante riforma dei settori giovanili nazionali.
L’ispirazione arrivò da un altro successo mondiale, quello della Francia nel 1998. Costruito nel centro federale di Clairefontaine, a lungo il modello cui si è di fatto ispirata mezza Europa: integrazione razziale, selezione dei migliori talenti del Paese, costruzione tecnica e tattica dei calciatori.
I tedeschi hanno ampliato il concetto francese e c’hanno messo del loro, innanzi tutto costringendo i club professionistici ad investire sui settori giovanili, obbligandoli di fatto a rispondere a determinati criteri, strutturali, gestionali, formativo-educativi.
INVESTIMENTI DEI CLUB E SCELTE POLITICHE DECISIVE
In 10 anni, i club hanno investito quasi un miliardo di euro sui vivai (105 milioni solo nel 2013/14).
La DFB (Deutscher Fussball Bund), la federazione tedesca, ha speso circa 300 milioni di euro per lo stesso progetto.
I risultati sono 366 centri federali di base distribuiti sul territorio, nei quali vengono riuniti circa 22.000 ragazzi tra gli 11 ed i 14 anni, provenienti da non più di 40 chilometri di distanza (per evitare traumi da "sradicamento") che vengono sottoposti ad una seduta supplementare a settimana, a completamento dell’attività che fanno nella loro squadra di appartenenza: allenamenti strandardizzati (elaborati dai tecnici federali), basati su tattica e tecnica individuale.
Oltre a ciò vengono visionati ogni anno 600.000 ragazzini. Così da non farsi sfuggire nessun eventuale talento.
Il passo successivo sono i 54 Centri di Eccellenza, che fanno capo ai club di Bundesliga e Bundesliga 2 (cui appartengono complessivamente 36 centri) terza serie (11) e leghe regionali (7), per lo sviluppo dei talenti migliori dai 15 ai 18 anni.
Senza mai trascurare l’istruzione: le Elite Schulen, (ad oggi) 40 scuole di Elite, che prevedono piani di studio che tengano conto degli impegni sportivi dei ragazzi (ed anche delle loro inclinazioni).
Da non sottovalutare poi l’apporto che la Politica tedesca ha saputo fornire alla riforma calcistica giovanile, grazie al principio dello Ius Soli, introdotto nel 2002 dal governo Schroeder, principio che ha garantito la "germanizzazione" dei tanti figli di immigrati, soprattutto turchi e polacchi.
I nuovi tedeschi popolano le neonate accademie del calcio, ed assicurano un florido avvenire al Fussball teutonico.
L’apporto delle seconde generazioni si manifesta progressivamente nel corso degli anni, per affermarsi definitivamente a partire dal 2009, quando la Nazionale Under 21 vince gli Europei di categoria, in finale contro l’Inghilterra.
La squadra è composta da giocatori che provengono da 9 nazionalità d’origine diverse: ci sono russi (Andreas Beck), polacchi (Sebastian Boenisch), ghanesi (Jerome Boateng), nigeriani (Dennis Logo, Chinedu Ede), statunitensi (Fabian Johnson), spagnoli (Gonzalo Castro), tunisini (Sami Khedira, Anis, Ben-Hatira), iraniani (Ashkan Dejagah), e turchi (Mezut Ozil).
Tre di questi hanno poi fatto parte della Nazionale maggiore campione del mondo nel 2014.
Una foto della nazionale tedesca nel 2016
Tornando alla riforma del sistema giovanile, c’è dunque un chiaro obiettivo sportivo (che potrà portare al professionismo solo il 5/6% dei giovani che frequentano i Centri di Eccellenza) ed un obiettivo (assolutamente non secondario) più sociale, che possa assicurare a tutti un avvenire nel mondo del lavoro, grazie ad un sistema scolastico appositamente studiato e strutturato, di primissimo livello, internazionalmente invidiato.
UNA RIFORMA CHE PARTE DAI FORMATORI
La riforma tedesca non si è occupata solo del talento dei giovani calciatori.
Grandissima attenzione è stata data alla formazione dei formatori, ovvero dei tecnici: nei 366 centri federali sono infatti impiegati 1300 allenatori, tutti patentati, cui la DFB dedica aggiornamenti e formazione continui.
Il concetto di base è: di talento (quello dei giovani aspiranti calciatori che popolano la nazione tedesca) sicuramente ce n’è tanto, ed esistono tutti gli strumenti ed i mezzi operativi per scovarlo; quello cui dobbiamo assolutamente provvedere sono affidabilità e competenza di coloro che sono deputati allo sviluppo del talento: gli allenatori.
Tra i campi di tutto il Paese si muovono 29 coordinatori, impegnati a verificare l’uniformità dell’educazione sportiva e tecnica, dei metodi e delle teorie applicate, per le quali gli allenatori devono seguire continui, specifici corsi federali.
Obiettivo condiviso: gli atleti migliori, arrivati a 14/15 anni, verranno portati nelle Elite Schulen di cui sopra, dove entreranno nel loro ultimo ciclo formativo, quello che potrà condurli, nel migliore dei casi ipotizzabili, a far parte delle rose dei migliori Top Club europei.
Tornando ai ripetuti successi della Nazionale maggiore non sembrava un azzardo, a due settimane dal via dei Mondiali in Russia, pronosticare una Germania nuovamente protagonista.
Questo, come ben sappiamo, non è accaduto. E qualcuno che di calcio (tedesco ma non solo) ne sa parecchio, come il team manager della nazionale tedesca Oliver Bierhoff, aveva presagito serie difficoltà in Russia per la formazione guidata da Loew, e solo poche ore dopo la cocente eliminazione mondiale ha espresso chiaramente quelli che dovranno essere gli obiettivi del cambiamento che attende il calcio tedesco nei prossimi mesi:
“La rivoluzione del 2004 l'avevamo impostata sul palleggio, sulla tecnica pura, ma adesso è ora di cambiare, è un modello superato. Dobbiamo tornare a sfornare centravanti e giocatori che sappiamo dribblare.”
Una Germania che si era sempre dimostrata lungimirante, capace di programmare lo sviluppo dei futuri talenti nazionali, e che ha sempre saputo come rinnovarsi, senza mai pagare un reale dazio ad inevitabili ricambi generazionali, si trova ora faccia a faccia con il fallimento più grave della sua storia.
Ma la sensazione, forte e chiara, anche solo analizzando le parole dell’ex centravanti di Udinese e Milan, è che la medicina sia già stata individuata, così come la cura. E che difficilmente potremmo pensare ad una Germania fuori dai prossimi mondiali.
Molto più credibilmente, i teutonici si rimboccheranno le maniche e daranno il via ad una ricostruzione (con tempi e modi chiari e programmati, come solo i tedeschi sanno fare) che nel 2022, in Qatar, consentirà loro di tornare competitivi e di ripresentarsi all’appuntamento iridato, temibili e minacciosi come sempre, per puntare dritti a quelle fasi finali di un Mondiale che, di fatto, non hanno mai fallito per due edizioni consecutive.
Foto di: https://www.flickr.com/photos/ajithdauk/, https://commons.wikimedia.org/wiki/User:%E6%85%95%E5%B0%BC%E9%BB%91%E5%9..., https://www.flickr.com/photos/brickset