Zero a Zero di Paolo Geremei
Intervista al regista Paolo Geremei autore del documentario "Zero a Zero" |
Ciao Paolo, potresti raccontarci da dove nasce il tuo progetto?
L’idea del film nasce dalla voglia di parlare di qualcosa di nuovo, che non era mai stato raccontato prima. aggiungo: incredibilmente, se pensi che la storia dei tre ragazzi raccontata nel film é una storia tutt’altro che unica. Ho voluto parlare del calcio vero, del dietro le quinte, di quello che succede ma nessuno racconta.
Perché proprio un documentario sul calcio?
É una metafora perfetta per parlare della vita. E perché lo conosco, l’ho giocato, l’ho visto da quando avevo 10 anni. Ora ho capito che Camus aveva ragione quando diceva che “non é una questione di vita o di morte. é molto di più”.
Puoi parlarci dei protagonisti del documentario?
Daniele Rossi, fantasista che divide la maglia numero 10 con Totti; Marco Caterini, portiere dell'Under 16 che manda in panchina Gigi Buffon; Andrea Giulii Capponi, nazionale anche lui e terzo portiere al ritiro con la prima squadra.
Marco Caterini con Gigi Buffon
Il documentario parla di tutti quei calciatori che hanno visto svanire il sogno di diventare professionisti. Hai sperimentato anche tu questa sensazione parlando con loro?
Girare il documentario é stata una delle esperienze più intense che abbia mai provato. E vivere a contatto con loro, continuamente, per mesi, mi ha fatto provare un’empatia incredibile nei loro confronti. Quindi si, mi sono avvicinato moltissimo alle loro sensazioni.
Daniele Rossi con Francesco Totti
Come hanno reagito i protagonisti del film quando hanno sentito che volevi raccontare le loro storie?
Uno ha pensato che fosse uno scherzo, l’altro che volevo mettere il dito nella piaga, e l’ultimo che volessi fare un film sui falliti. Ma poi si sono fidati di me, ne é nato un rapporto di stima totale e soprattutto di fiducia che ci ha permesso di girare un film importante, tanto per loro quanto per me. E di diventare amici, come siamo ora.
Andrea Giulii Capponi con la maglia della Roma
Come si vive a Roma il sogno di diventare un campione?
La città non aiuta, non c’è dubbio: per la strafottenza, per la sensazione che ti dà di onnipotenza, per la facilità con la quale vieni dimenticato. Se avessero giocato altrove, sono certo che le loro carriere sarebbero state diverse.
Cosa ti ha più colpito dall'esperienza di 'Zero a Zero'?
Tante cose: su tutte, il fatto che mi sono talmente immedesimato nelle loro storie che ancora oggi mi capita di citare le loro frasi in altri contesti, mentre commento un episodio che é capitato ad un mio collega o parlo con i miei amici della vita, della fortuna, ecc… i tre ragazzi, ed é una cosa veramente bella, hanno una saggezza e una maturità che non solo ha aiutato me, ma anche lo spettatore che dopo aver visto il film ha una visione nuova sul calcio.
Si impara di più dalle vittorie dei grandi campioni in tv o dalle sconfitte dei tanti ragazzi come quelli di 'Zero a Zero'?
A me non piace parlare di sconfitta, altrimenti non avrei intitolato il film zero a zero… é da queste storie che si impara a vivere, di certo non leggendo la biografia di Cristiano Ronaldo o Ibrahimovic. A meno che tu non abbia i loro piedi, ma questa é un’altra storia. E Daniele, Marco e Andrea non hanno fatto la nazionale per anni per caso, erano dotati di tecnica incredibile, e non solo di quella.
Perché hai intitolato il documentario 'Zero a Zero'?
Perché la partita non finisci mai di giocarla. 'Zero a Zero', ora si gioca, ora si segna.
Quali sono i tuoi progetti futuri? Hanno ancora a che fare col calcio?
Col calcio anche ma non posso dirvi niente… sto scrivendo un altro documentario e preparando il mio primo lungometraggio.
Si potrebbe definire la sua opera una guida per accettare la sconfitta ed inseguire la 'normalità'?
Più che una guida, é un racconto dal quale poter trarre insegnamenti. Vedendo il film, ognuno ne esce con un’idea diversa: chi pensa che a lui non sarebbe mai successo, chi dice che é solo sfortuna, chi dà la colpa agli altri. Il film offre delle scelte, delle possibilità di interpretazione che ciascuno legge in maniera diversa. É questo il bello di un documentario: é un pezzo di vita, ognuno lo legge come vuole.
Dopo l'esperienza fatta a stretto contatto con ragazzi che 'non ce l'hanno fatta' ti senti di dire che il mondo del calcio ad alti livelli è pericoloso per i nostri ragazzi?
É pericoloso perché ti illude. Altrimenti, é un gioco bellissimo, da praticare in maniera seria e coscienziosa soprattutto quando sei nel professionismo. Ma é sempre e comunque un gioco. Spesso bastano poche e sfortunate coincidenze perché cambi il tuo futuro, e tu devi saperlo bene prima, compreso il fatto che queste coincidenze non sempre dipendono da te, puoi cercare di cambiarle, ma poi ci sono altri mille fattori in un ambiente cosi ambito e competitivo. Se accetti queste regole dall’inizio, puoi veramente goderti il fatto che ti pagano per giocare a pallone.
Secondo te la visione di questo film potrebbe far cambiare idea ai tanti "businessman" che gravano nel mondo dello sport professionistico e che vedono i giovani come mezzi da sfruttare per i loro profitti?
Non credo che gli agenti cambieranno atteggiamento perché ci sono troppi interessi legati a ogni possibile campione. il calcio, da questo punto di vista, è cinico e spietato, come lo sono certi personaggi che purtroppo ci gravitano intorno e, quel che è peggio, anche dentro... 'Zero a Zero' può far cambiare soprattutto ai ragazzi, agli allenatori e ai genitori. É a loro che il film parla in prima persona.
Grazie Paolo del tempo che hai dedicato a YouCoach, per le emozioni che ci ha regalato il tuo documentario consigliamo a tutti coloro che amano il calcio e almeno una volta lo hanno giocato, sognando, di vederlo. Un grosso in bocca al lupo per "Zero a Zero" e le tue future produzioni.