Lesioni Muscolari nel calcio: recupero fuori e dentro al campo
Dopo molte partite e allenamenti il rischio di infortunio è maggiore, vediamo come recuperare |
In ambito sportivo le lesioni muscolari acute sono di frequente riscontro in tutte le discipline sportive e la loro incidenza viene calcolata tra il 10 ed il 30% di tutti i traumi da sport.
Non è compito facile pervenire ad una classificazione univoca delle lesioni muscolari, poiché diversi sono i criteri che possono essere presi in considerazione.
È tuttavia opportuno precisare che non saranno prese in considerazione le lesioni muscolari conseguenti a ferite da taglio, punta, punta e taglio, fendente o arma da fuoco, anche se molto importanti per il medico legale. Parimenti, non verranno descritte le avulsioni, né le ernie muscolari e neppure le patologie tendinee, ma mi limiterò a trattare esclusivamente le contusioni muscolari e le altre lesioni muscolari che sono di più frequente riscontro nella pratica sportiva.
INTRODUZIONE
Nella pratica sportiva, il muscolo deve possedere qualità di forza, resistenza, prontezza, velocità ed estensibilità acquisite con un allenamento specifico spesso lungo e intensivo. Queste diverse caratteristiche sono basate su tre sistemi strettamente legati.
- La struttura biomeccanica del muscolo (fig.1) (fibre di actina di miosina e aponeurosi di rivestimento) conferisce proprietà visco-elastiche e contrattili.
figura 1
- L’attività metabolica e i differenti tipi di fibre (tipo I, IIa e IIb) condizionano la potenza, la durata e l’inerzia dell’attività muscolare.
- Il sistema neuromuscolare permette di regolare le attività volontarie, automatiche o riflesse intervenendo nel controllo posturale e gestuale proprio di ogni sport.
L’eccellente coordinazione e funzionamento di questi tre sistemi condizionano l’attitudine sportiva ed il livello di prestazione. Se, per incidente o cattiva utilizzazione, uno di questi meccanismi è leso, tutto l’edificio fisiologico crolla, comportando la sospensione dell’attività sportiva per un periodo indeterminato con ripercussioni molto negative per un buon allenamento.
CLASSIFICAZIONE DELLE LESIONI MUSCOLARI (1)
Un primo elemento da considerare nelle classificazioni è rappresentato dalla natura diretta o indiretta del trauma (Craig, 1973).
In tal senso si possono distinguere (Tabella 1):
• Lesioni muscolari da trauma diretto, che secondo l'interpretazione classica, implicano l'esistenza di una forza agente direttamente dall'esterno.
• Lesioni muscolari da trauma indiretto, che presuppongono l'azione di meccanismi più complessi, e chiamano in causa forze lesive intrinseche, che si sviluppano nell'ambito del muscolo stesso o dell'apparato locomotore.
Riguardo la diversa localizzazione delle lesioni muscolari, che sono definite dirette ed indirette, si deve precisare che, pur nella varietà delle sedi muscolari interessate, l'azione contusiva si esplica, di fatto, preferibilmente sulle masse carnose dei muscoli. Per contro, nelle modalità traumatiche indirette, la via lesiva si estrinseca più spesso in prossimità della giunzione muscolo-tendinea, pur essendo possibili anche localizzazioni a livello del ventre muscolare. In ogni caso, la conseguenza anatomo-patologica dei traumi muscolari, tranne che per la contrattura e lo stiramento, è rappresentata sempre da un danno anatomico della fibra muscolare, con frequente coinvolgimento della parte connettivale ed eventualmente tendinea e delle strutture vascolari. La diversità delle espressioni anatomo-patologiche e cliniche è data, quindi, dall'entità del danno strutturale prodotto dal trauma.
Lesioni da trauma diretto (contusione) |
- grado lieve |
- grado moderato |
- grado severo |
Lesioni da trauma indiretto |
- contrattura |
- stiramento |
- strappo |
- strappo di primo grado |
- strappo di secondo grado |
- strappo di terzo grado (rottura parziale o totale) |
Tabella 1. Classificazione delle lesioni muscolari.
1. CLASSIFICAZIONE DELLE LESIONI DA TRAUMA DIRETTO
Le lesioni muscolari da trauma diretto sono di natura contusiva. Spesso queste lesioni sono considerate come condizioni patologiche di secondaria importanza, destinate a guarire in tempi brevi, senza lasciare reliquati.
Tuttavia dal punto di vista anatomo-patologico, la rottura muscolare prodotta da tali traumi non differisce sostanzialmente da una lesione muscolare dovuta ad altro meccanismo. Poiché, dal punto di vista funzionale, lo stato di contrazione muscolare conseguente al trauma provoca una limitazione dell'escursione articolare, dovuta ad una ridotta estensibilità muscolare, in accordo con Reid (1992).
La classificazione delle lesioni muscolari da trauma diretto, si può dividerle in tre gradi, secondo la gravità, indirettamente indicata dall'arco di movimento effettuabile:
1. lesione muscolare di grado lieve: è consentita oltre la metà dello spettro di movimento;
2. lesione muscolare di grado moderato: è concessa meno della metà, ma più di 1/3 dello spettro di movimento;
3. lesione muscolare di grado severo: è permesso uno spettro di movimento inferiore ad 1/3.
2. CLASSIFICAZIONE DELLE LESIONI DA TRAUMA INDIRETTO
Vi è una certa confusione nella classificazione delle lesioni muscolari da trauma indiretto, soprattutto a causa dei diversi termini utilizzati dai vari autori anche come sinonimi. Si parla, infatti, di: contrattura, elongazione, stiramento, distrazione, strappo, rottura, lacerazione. Tali termini si riferiscono, in ogni caso a gradi diversi di gravità, identificabili dalle diverse manifestazioni anatomo-patologiche e cliniche della lesione. Qui di seguito sono illustrate per sommi capi due delle classificazioni più significative, che servono come spunto per proporre una classificazione che presenti una sua immediata facilità di comprensione ed applicabilità pratica. La suddivisione in tre livelli di gravità delle lesioni muscolari è proposta dall'American Medical Association (Craig, 1973), secondo la quale una lesione di primo grado è dovuta allo stiramento dell'unità muscolo-tendinea che provoca la rottura di solo alcune fibre muscolari o tendinee; la lesione di secondo grado è più severa della precedente, ma non vi è interruzione completa dell'unità muscolo-tendinea; infine la lesione di terzo grado si configura come una rottura completa dell'unità muscolo-tendinea. Reid (1992) suddivide le lesioni muscolari in tre tipi come illustrato nella Tabella 2.
1. lesione muscolare da esercizio fisico (dolore muscolare ritardato) |
2. strappo, di cui riconosce tre gradi (I,II,III): |
I^ grado (lieve): |
- danno strutturale minimo; |
- piccola emorragia; |
- guarigione in tempi brevi. |
II^ grado (moderato): |
- entità del danno variabile; |
- rottura parziale; |
- significativa perdita funzionale precoce. |
III^ grado (severo): |
- rottura completa; |
- occorre aspirare l'ematoma; |
- può essere necessario l'intervento chirurgico |
3. contusione (lieve - moderata - severa) |
Tabella 2. Classificazione delle lesioni muscolari, secondo Reid, 1992.
Muller-Wolfart (1992), distingue diversi gradi di lesione, a seconda dell'unità strutturale interessata: 1) stiramento muscolare
2) strappo delle fibra muscolare
3) strappo del fascio muscolare
4) strappo muscolare.
Secondo questo Autore, la differenza fra stiramento e strappo sarebbe di tipo qualitativo e non quantitativo; in pratica, nello stiramento non c'è mai rottura, anche se piccola, di fibre muscolari. Come si può notare, nelle proposte di classificazione che sono citate a puro titolo esemplificativo, gli elementi differenziali sono costituiti da alterazioni anatomo-patologiche ben definite. Le terminologie utilizzate hanno per lo più significati analoghi, e in tutte le classificazioni, vengono definiti gradi crescenti di gravità delle lesioni. A questo punto si propone una classificazione che ha la pretesa di essere chiara, pratica e semplice, e che al tempo stesso, tenga conto dei vari contributi presenti in letteratura. La classificazione perciò proposta distingue i traumi muscolari che originano da un meccanismo indiretto, in cinque livelli di gravità che vengono definiti:
1) contrattura
2) stiramento
3) strappo di primo, secondo e terzo grado.
I criteri adottati per distinguere i cinque livelli di gravità sono contemporaneamente di ordine anamnestico, sintomatologico ed anatomo-patologico.
1. Contrattura.
Si manifesta con dolore muscolare che insorge quasi sempre a distanza dall'attività sportiva, con una latenza variabile (dopo qualche ora o il giorno dopo), mal localizzato, dovuto ad un'alterazione diffusa del tono muscolare (criteri anamnestico e sintomatologico), imputabile ad uno stato di affaticamento del muscolo, in assenza di lesioni anatomiche evidenziabili macroscopicamente o al microscopio ottico (criterio anatomo patologico).
2. Stiramento.
È sempre conseguenza di un episodio doloroso acuto, insorto durante l'attività sportiva, il più delle volte ben localizzato, per cui il soggetto e costretto ad interrompere l'attività, pur non comportando necessariamente un'impotenza funzionale immediata, e del quale conserva un preciso ricordo anamnestico (criteri anamnestico e sintomatologico). Poiché dal punto di vista anatomo-patologico non sono presenti lacerazioni macroscopiche delle fibre, il disturbo può essere attribuito ad un'alterazione funzionale delle miofibrille, ad un'alterazione della conduzione neuro-muscolare oppure a lesioni sub microscopiche a livello del sarcomero. La conseguenza sul piano clinico è rappresentata dall'ipertono del muscolo, accompagnato da dolore.
3. Strappo.
Si manifesta con dolore acuto, violento che compare durante l'attività sportiva (criteri anamnestico
e sintomatologico comuni a tutti gli strappi), attribuibile alla lacerazione di un numero variabile di fibre muscolari. Lo strappo muscolare è sempre accompagnato da uno stravaso ematico (criterio anatomo-patologico comune), più o meno evidente a seconda dell'entità e della localizzazione della lesione e dall'integrità o meno delle fasce. La distinzione in gradi viene riferita alla quantità di tessuto muscolare lacerato (criterio anatomo-patologico) e comprende:
• strappo di I grado: lacerazione di poche miofibrille all'interno di un fascio muscolare, ma non dell'intero fascio;
• strappo di Il grado: lacerazione di uno o più fasci muscolari, che coinvolge meno dei 3/4 della superficie di sezione anatomica del muscolo in quel punto;
• strappo di III grado: rottura muscolare, che coinvolge più dei 3/4 della superficie di sezione anatomica del muscolo in quel punto e che può essere distinta in parziale (lacerazione imponente, ma incompleta della sezione del muscolo) o totale (lacerazione dell'intero ventre muscolare).
È importante sottolineare che, sul piano clinico, il confine tra stiramento e strappo muscolare di I grado è molto sfumato, specialmente in fase precoce, quando un eventuale stravaso ematico può non risultare ancora evidente. In tal caso, come si vedrà in seguito, la diagnosi deve fondarsi, oltre che sulle caratteristiche cliniche della lesione anche sulle risultanze dell'indagine ecografica, eseguita dopo 48-72 ore dal momento del trauma. È altresì importante sottolineare che la distinzione in tre gradi di gravità degli strappi muscolari non può essere che arbitraria, data la difficoltà pratica di quantizzare l'entità della lesione. Per semplicità vengono utilizzati solo tre gradi di gravità, ed il criterio adottato in questa circostanza
definito come anatomo-patologico-funzionale.
Infatti, l'entità dello strappo di primo grado può essere facilmente apprezzata mediante l'ecografia, così come la rottura muscolare completa risulta facilmente identificabile. I problemi sorgono quando è necessario stabilire la gravità di una lesione "intermedia" che coinvolge più di un solo fascio muscolare, ma meno dell'intero muscolo. In questo caso si adotta un criterio definito anatomo-patologico-funzionale, che identifica lo strappo di secondo grado, come una lesione che coinvolge più di un solo fascio muscolare ma meno dei 3/4 dell'intera superficie di sezione anatomica del muscolo. Ciò significa che, nonostante la lesione, una buona parte del muscolo è ancora integra, il deficit funzionale è presente, ma non assoluto, ed il processo di guarigione può avvenire nell'ambito di un tessuto la cui funzionalità non è completamente compromessa. D'altra parte, quando il danno anatomico coinvolge approssimativamente più dei 3/4 della superficie di sezione anatomica del muscolo, la lesione è sicuramente imponente, il deficit funzionale è praticamente assoluto ed il processo di guarigione si deve instaurare nell'ambito di un tessuto la cui funzionalità è da considerarsi completamente compromessa. È interessante notare a questo proposito che è stato dimostrato che quando la lesione muscolare si estende per più del 50% della superficie di sezione anatomica, la riparazione avviene in non meno di 5 settimane (Pomeranz, 1993). È chiaro che l'entità della lesione, cioè la distinzione tra strappo di primo, secondo o terzo grado, può essere stabilita con buona approssimazione, solo grazie all'indagine ecografica.
Trattamento terapeutico e la rieducazione funzionale dell'atleta infortunato (3)
Gli AA. riferiscono sull'indirizzo terapeutico che seguono in caso di lesioni traumatiche in atleti. Sulla base della loro esperienza essi ritengono che per ottenere i migliori risultati, il trattamento deve seguire i tempi di guarigione fissati dal processo di riparazione e che soprattutto questo deve essere rispettato in tutte le fasi del trattamento.
Il trattamento fisiochinesiterapico dell'atleta infortunato ha come scopo di:
1) limitare le conseguenze dell'azione lesiva sui tessuti interessati dal trauma
2) prevenire i danni futuri,
3) restituire il più rapidamente possibile l'atleta alle competizioni nel rispetto dei tempi di guarigione biologica.
Questi tre punti sono strettamente legati tra di loro e dipendenti dal trattamento attuato nella fase iniziale (24-48 ore).
Fase iniziale
L'azione lesiva del trauma sui tessuti provoca edema, ematoma, fenomeni di vasodilatazione a livello capillare trombosi e costrizione arteriolare oltre, naturalmente, discontinuazioni del tessuto maggiormente interessato sia esso muscolo, tendine, legamento, tessuto fasciale od altro. Il trattamento quindi nella fase iniziale (prime 24-48 ore) si pone l'obiettivo di controllare l'entità delle manifestazioni in modo da limitare e circoscrivere il danno tessutale. E' noto, infatti, che le manifestazioni che abbiamo poc'anzi descritto, specialmente i fenomeni d'edema e i processi riguardanti l'evoluzione ed il riassorbimento dell'ematoma causano se non trattati, la comparsa di fibrosi post-traumatica che dal punto di vista della funzionalità, è estremamente limitante.
Il primo sintomo, il dolore, dev'essere combattuto in quanto superata la fase finalistica di campanello d'allarme, è di per sé fonte di patologia perchè mantiene e sostiene le alterazioni vascolari locali e lo stato di contrattura muscolare o di atteggiamento antalgico che spesso pregiudicano il processo di guarigione. Sul dolore si deve agire immediatamente diremmo quasi contemporaneamente al trauma con:
a) infiltrazioni locali anestetiche (procaina, marcaina o simili)
b) crioterapia (ghiaccio, compresse fredde, anestetici di superficie)
c) postura corretta
d) elettro-terapia antalgica (badando o non provocare contrazioni muscolari); ionoforesi con sostanze analgesiche, antiflogistiche, antiaggreganti e fibrinolitiche.
Il trattamento sul dolore deve influire anche sulla contrattura muscolare e quando tale fenomeno è particolarmente marcato si utilizzano le tecniche cinesiterapiche di rilasciamento.
In questa fase iniziale, nell'impostare il trattamento occorre tener presente che non sempre l'entità del dolore è sintomo di gravità della lesione.
Fase riparativa
In linea di massima, superate le prime 24-48 ore dal trauma, si può stabilire esattamente l'entità della lesione e quindi programmare la fase di recupero durante il processo di riparazione.
Questo può essere così sintetizzato: fra la 48a e la 72a ora la fibrina viene organizzata in modo da preparare le gittate vascolari, l'organizzazione e l'evoluzione dei blasti pluripotenti responsabili della neoformazione connettivale. Il trattamento dovrà tener conto dei seguenti fenomeni: l'edema e l'ematoma nelle prime 24-48 ore evolvono in modo da favorire l'organizzazione dei fibroblasti dal 3° giorno e questi portano alla neoformazione connettivale che avviene tra il 7° e il 15° giorno. Questi processi devono essere tenuti in considerazione nel programmare il trattamento perché condizionano la cicatrice a seconda degli stimoli che subiscono. Il tessuto di neoformazione, infatti, ricco di collageno è particolarmente sensibile alle sollecitazioni meccaniche che in questa fase possono modellarlo a seconda delle caratteristiche richieste dalla funzione. Sollecitazioni in trazione permettono un incremento dell'elasticità fino ad un massimo del 20% mentre un carico di 10-12 Kg per mm2 portano alla rottura delle fibre collagene. In questa fase quindi il trattamento fisiocinesiterapico deve rispettare il processo di cicatrizzazione, intervenendo esclusivamente per orientarlo secondo le caratteristiche delle strutture colpite. Dovremmo perciò cercare di ottenere una cicatrice elastica nel muscolo e invece solida nella struttura di trasmissione (tendini e apparato mioentesico) o di stabilizzazione (legamenti, capsula, fascie).
Il trattamento quindi dovrà essere programmato secondo, i seguenti criteri.
a) Nel muscolo esercizi graduali di allungamento prima passivi e poi attivi
b) Prevenzione delle aderenze che si ottiene mediante trattamenti fisioterapici:
1) Ionoforesi che svolge un ruolo molto importante per la somministrazione di coktails anti
infiammatori, analgesici, con isoorientanti e fibrinolitici (5-15 mA per 15'-30')
2) Ultrasuonoterapia che facilita la rimozione dei cataboliti (1' 5-3 Watt/Cm2 per 10- 15 m')
3) Onde elettromagnetiche che migliorano la vascolarizzazione
4) Onde elettromagnetiche atermiche pulsanti: è un trattamento ancora sub-judice, anche se le
prime impressioni sono positive, che integra le altre terapie e che ha come effetto il
miglioramento del microcircolo locale e di conseguenza del metabolismo del tessuto
traumatizzato.
5) Idromassaggio e massoterapia dapprima distanti dal focolaio e successivamente, a seconda
dell'evoluzione, anche nella cicatrice comunque non prima del 10°-15° giorno.
Questo trattamento va impostato dalla 48a ora al 15°-30° giorno a seconda dell'entità della lesione e della struttura lesa. E' ovvio che i segmenti non interessati strettamente dalla lesione debbono continuare ad essere sollecitati secondo i moderni concetti del riposo attivo.
Il recupero funzionale
A cicatrice formata ed a stabilità articolare acquisita inizio il recupero specifico che si propone di ricostruire il trofismo muscolare, lo schema motorio e la forza muscolare. Per il trofismo questa fase si avvale degli esercizi di isometrica senza carichi ed in isotonia (concentrica ed eccentrica) con resistenze variabili da 2 a 5 kg. Naturalmente occorre considerare, trattandosi di atleti, che le condizioni di partenza di trofismo muscolare sono notevoli e quindi il lavoro di recupero dev'essere più intenso con numero di contrazioni elevatissimi (1000-2000 al di). Le sedute devono essere suddivise nella giornata per evitare un eccesso di fatica ai muscoli sollecitati e quindi la conseguente impossibilità a svolgere gli esercizi successivi.
Per il recupero della forza, che si ottiene attraverso il carico in isometrica (6 secondi di contrattura massimale seguiti da 9 secondi di rilasciamento per 10 volte consecutive per 8- 10 sedute al giorno) si collaborerà strettamente col tecnico in modo da pianificare la preparazione all'agonismo, (secondi MulIer l'incremento della forza dovrebbe essere del 12% alla settimana fino al 75% della forza limite).
Oltre al trofismo e alla forza muscolare è necessario che l'atleta recuperi lo schema motorio, in pratica l'esecuzione di massima coordinazione del gesto sportivo. Per questo fine sono indicati esercizi di recupero articolare assistiti (attivi e passivi) da svolgere contemporaneamente agli esercizi per il trofismo muscolare. A recupero articolare avvenuto e completo si utilizzeranno le tecniche di facilitazione propriocettiva che consistono nella stimolazione dei recettori periferici a varia localizzazione (fusi neuro-muscolari, corpuscoli tendinei e recettori articolari) provocando una facilitazione dei circuiti sinaptici da cui deriva una migliore capacità di reclutamento delle unità motorie. Le varie possibilità di contrazione utilizzate in terapia devono rispettare le condizioni di funzionamento del muscolo nella prestazione atletica in modo che il recupero del gesto sportivo sia il più rapido possibile. Questi indirizzi di trattamento permettono il recupero dell'atleta in tempi brevi, con minimo rischio, mentre l'osservazione dell'atleta sul campo permette di giudicare l'avvenuta guarigione e concedere all'agonismo.
Per approfondire l'allenamento eccentrico potete leggere questo articolo in cui proponiamo una trattazione accurata dell'argomento. L'allenamento eccentrico nel calcio
BIBLIOGRAFIA:
1. DR. GIANNI NANNI Isokinetic Centro di Riabilitazione per lo Sport, Bologna - Medico Sociale Bologna FC. 1909 - Attualità nel trattamento delle lesioni tendinee e muscolari dell'arto inferiore, Convegno 2000; http://isokinetic.com.
2. DANOWSKI R.G., CHANUSSOT J.C. – Traumatologia dello sport, Masson, Paris, 2^ Ed. Italiana, 255, 2000.
3. I.J. Sports Traumatology 1:221,1979; riassunto a cura di A. Ruju e G. Monti.
4. TESTI M., BISCIOTTI G.N. In collaborazione con la rivista specializzata Nuova Atletica dal Friuli. http://www.benessere.com.
Fonte: www.fisiobrain.com