Viaggio nel calcio europeo: Tiki Taka
Un viaggio nel Calcio Nazionale di Inghilterra, Germania, Spagna e Francia. Scopriamo il "Tiki Taka" spagnolo. |
YouCoach fa un Giro in Europa.
Proveremo a raccontare (con l’ausilio di dati, cifre, regolamenti, programmi, citazioni) come in alcuni Paesi europei le Federazioni Calcistiche abbiano pianificato (chi ormai già da qualche lustro, chi solo da pochi anni) il proprio Futuro.
Come hanno provveduto a darsi un’organizzazione, una progettazione, una programmazione che basino le proprie fondamenta su di una Filosofia (di gioco) ben delineata e su di un’Etica (sportiva)condivisa da tutti i protagonisti in gioco: dalla cima della piramide (la Federazione, per l’appunto) giù giù sino alla sua base, composta da tecnici, formatori, giocatori, media e tifosi.
SPAGNA
Il movimento calcistico spagnolo - tra squadre Nazionali e grandi Club (Real Madrid e Barcellona su tutte) - domina l’Europa, incontrastato, da più di un decennio.
Due Campionati Europei stravinti nel 2008 e nel 2012. In mezzo un oro Mondiale, in Sudafrica, datato 2010: già questi tre successi internazionali consecutivi, da soli, raccontano di una delle squadre nazionali più forti e vincenti della storia.
Ma sarebbe riduttivo fermarsi ai soli trofei delle Furie Rosse.
Perché la Spagna si è imposta (e continua ad imporsi con una regolarità disarmante) anche se non soprattutto grazie al propio stile di gioco, alla propria filosofia.
Che qualcuno ha definito Tiki Taka (riferendosi in realtà al gioco del Barcellona di Guardiola prima che a quello della Roja) ma che di fatto è un’evoluzione del Calcio Totale che la nazionale olandese degli anni ’70 aveva partorito e reso noto in tutto il mondo.
L’anello di congiunzione tra le due esperienze calcistiche nazionali ha un nome ed un cognome, non a caso olandesi: Johan Cruyff.
Il Pelè Bianco, dopo aver vinto tutto nel proprio Paese con la maglia del mitico Ajax (un tutto fatto, tra l’altro, di 3 Coppe dei Campioni consecutive tra il 1970 ed il 1972, e di 3 Palloni D’oro), nel 1973 si trasferisce al Barcellona, dove giocherà poco (una stagione o poco più) ma dove tornerà qualche anno più tardi (1988), da allenatore, lasciando ben più di una semplice traccia.
Proprio in questo nuovo ruolo infatti, Cruyff inciderà in maniera assoluta, seminando quei principi di gioco e costruendo quella mentalità che ancora oggi ritroviamo quale inconfondibile marchio di fabbrica del modo di intendere, allenare e giocare a futbol in Spagna.
TIKI TAKA SI TRADUCE IN CALCIO TOTALE?
Di fatto, il Tiki Taka iberico è un’importante evoluzione del Calcio Totale, differenziandosene principalmente perché basato sui continui movimenti rasoterra del pallone, piuttosto che dei giocatori.
Tanto possesso palla: una ragnatela fitta e continua di passaggi, un gioco quasi ipnotico, condotto con estrema calma, fino al momento in cui, stordito, l’avversario sbaglierà un movimento, ritarderà una chiusura, insomma, si distrarrà per uno spazio-tempo sufficiente per essere infilato (o infilzato, come un toro stremato) grazie ad un’improvvisa, rapida verticalizzazione/finalizzazione.
Questo modo di giocare ha conquistato tutti:
- chi lo mette in pratica, ovvero tutte (o quasi) le squadre spagnole, di qualsiasi livello e di qualsiasi categoria;
- chi lo guarda (il pubblico, appassionati e tifosi);
- chi lo racconta e lo commenta (i media, la stampa);
- persino i Paesi (ed i tifosi) avversari di tutto il mondo, che si sono progressivamente innamorati del calcio spagnolo.
UNA FILOSOFIA CONDIVISA DA TUTTO IL MONDO
Si è dunque diffusa una Cultura Calcistica unanimemente condivisa, accettata, sostenuta.
Il gioco, il modo con il quale si vincono le partite, è più importante del risultato stesso.
In Spagna chiunque, oggi, tratta con un certo sdegno il "resultadismo", che resiste invece come un pilone fondamentale della nostra cultura calcistica.
Il pallone è stato messo al centro del villaggio, per usare un’espressione resa celebre dal tecnico della Roma Rudi Garcia qualche anno fa.
Il gesto tecnico, la giocata, l’invenzione, sono richiesti e celebrati. Ad ogni latitudine.
Una squadra che prende 7 gol al Bernabeu o al Camp Nou viene comunque applaudita se mostra coraggio, se prova a giocare.
Da noi, in Italia, verrebbe scuoiata.
Dialettica, mentalità, approccio, culture differenti.
Lontani dalla Liga, su un qualsiasi campo di periferia, a qualsiasi età, puoi ammirare una squadra cercare il gioco, sempre e comunque, anche contro un avversario più forte.
Il piacere di giocare la palla è La Regola.
In alto poi, ai massimi livelli, alla tecnica ed al piacere, negli ultimi 10 anni, gente come Guardiola, Aragones, Del Bosque (oggi Zidane), hanno saputo unire anche i grandi risultati.
La ciliegina sulla torta. O sulla tortilla.
DAL GIOCO NASCONO GRANDI TALENTI
Il calcio spagnolo, anche lontano dalla galassia di Barcellona e Madrid, ha saputo negli ultimi anni sfornare un talento dietro l’altro:
- Isco nel Malaga
- Asensio nell’Espanyol
- Ceballos nel Betis
- Saul nel Rayo
- Jordi Alba e Silva nel Valencia
- Sergio Ramos nel Siviglia
- Piqué nel Zaragoza
- Busquets con il Barça B (addirittura in Tercera Division, la nostra Serie D).
Situazioni diverse, un unico filo conduttore: il pallone, il gioco, il piacere del gioco.
Come si costruisce il giocatore spagnolo?
Partendo dalla selezione del giovane talento.
Che va individuato, possibilmente entro il decimo anno di età, in base a 3 elementi fondamentali: personalità, intelligenza, tecnica (e, in subordine, coordinazione).
Il ragazzo deve dimostrare di avere una buona tecnica di base (con una buona attitudine alla coordinazione), deve mostrare in campo una certa intelligenza (che gli permetterà poi di essere istruito a dovere dai tecnici futuri), e deve avere carattere (che si capisce fondamentalmente dal grado di divertimento che prova e che dimostra nel giocare a calcio).
Tutto il resto, e cioè essenzialmente la tattica, individuale e di squadra, lo acquisirà con allenamenti mirati, particolarmente efficaci tra gli 8 e i 12 anni.
In Italia, provate a chiederlo ad un qualsiasi responsabile di settore giovanile professionistico, assieme alla personalità ed alla tecnica, troppo spesso prima ancora di questi due elementi, viene ricercata la fisicità.
Come dicevamo poc’anzi: approccio, mentalità, obiettivi differenti.
Sin dalla tenera età, sin dalla prima semina insomma.
La strategia privilegiata, tanto da chi insegna quanto da chi gioca a calcio in Spagna, è quindi riassunta nel desiderio di possedere il pallone il più a lungo possibile, considerato contestualmente il modo più divertente e più piacevole di giocare ed il mezzo più efficace per arrivare al gol, ed alla vittoria finale: l’espressione perfetta di quell’estetica funzionale che nel Terzo Millennio vede il dominio di Barcellona e della Roja nel calcio internazionale.
UN ESEMPIO: LA CANTERA DEL BARCELLONA
Volendo portare ad esempio proprio la Cantera del Barcellona (che dal momento del citato passaggio in Catalogna di Johann Cruyff ha mutuato molto dai meccanismi di reclutamento e di sviluppo del talento giovanile dell’Ajax di Amsterdam) i bambini tra gli 8 e gli 11 anni imparano prevalentemente ad affinare la propria tecnica e a stare in campo, comprendendo le posizioni ed i movimenti necessari all’equilibrio della squadra, analizzando lo spazio ed imparando ad occuparlo in modo intelligente, efficace, produttivo.
Non è un caso che prima degli 8 anni i bambini giochino prima partite 4 contro 4 e poi 7 contro 7, arrivando al campo da 11 contro 11 solamente alla fine di questo percorso.
Dagli 11 anni in poi si inizia a lavorare come una squadra vera e propria, mentre i ragazzi scoprono solamente ora la posizione in campo in cui rendono meglio, e gli allenatori cominciano a specializzarli.
Tutte le squadre del settore giovanile del Barcellona (così come quelle dell’Ajax) giocano con lo stesso modulo (il 4-3-3) e secondo la medesima filosofia.
Ciò rende sicuramente più semplice per un giocatore arrivare a vestire la maglia della prima squadra del Club dov’è cresciuto, perché di fatto continuerà a fare quegli stessi movimenti e quel medesimo tipo di gioco che ha praticato per tutta la sua giovane vita.
I risultati di questa semina, i frutti raccolti grazie alla Cantera (alla Masìa del Barcellona nella fattispecie) in termini di giovani talenti che si trasformano in calciatori professionisti (di altissimo livello, ndr), si contano anno dopo anno, sfogliando la rosa della prima squadra.
Un esempio per tutti?
È il 25 novembre 2012: nel corso della partita di campionato Levante-Barcellona, vinta dai catalani 0-4, tra il 14' e il 75' minuto (intervallo di tempo in cui furono segnate tutte le reti) il tecnico del Barça Tito Vilanova, proveniente anch’egli dalle giovanili azulgrana, schiera sul rettangolo di gioco una formazione composta interamente da giocatori cresciuti alla Masia, ovviamente disegnata con un 4-3-3:
Víctor Valdés in porta; Martín Montoya, Gerard Piqué, Carles Puyol e Jordi Alba sulla linea difensiva; Xavi (poi sostituito al 78' da un altro prodotto della cantera, Thiago Alcantara), Sergio Busquets e Cesc Fàbregas a centrocampo; Pedro, Lionel Messi e Andrés Iniesta in attacco.
Un po’ come l’Inter in Italia, che spesso tra gli 11 titolari che scendono in campo non schiera nemmeno un giocatore italiano. E meno spesso ancora fa esordire un giocatore proveniente dal proprio settore giovanile, sia esso italiano o straniero.
Meditiamo, gente, meditiamo.
Foto di: Илья Хохлов (http://football.ua/galleries), https://commons.wikimedia.org/wiki/User:Electro07,