Viaggio nel calcio europeo: il Totaal Voetbal olandese
Un viaggio nel Calcio Nazionale delle migliori squadre europee. Andiamo a scoprire una grande esclusa: l'Olanda. |
YouCoach fa un Giro in Europa.
Proveremo a raccontare (con l’ausilio di dati, cifre, regolamenti, programmi, citazioni) come in alcuni Paesi europei le Federazioni Calcistiche abbiano pianificato (chi ormai già da qualche lustro, chi solo da pochi anni) il proprio Futuro.
Come hanno provveduto a darsi un’organizzazione, una progettazione, una programmazione che basino le proprie fondamenta su di una Filosofia (di gioco) ben delineata e su di un’Etica (sportiva)condivisa da tutti i protagonisti in gioco: dalla cima della piramide (la Federazione, per l’appunto) giù giù sino alla sua base, composta da tecnici, formatori, giocatori, media e tifosi.
OLANDA
Se si parla di Calcio Olandese, la seconda espressione che viene alla mente di chi mastica calcio è Calcio Totale.
Il Totaal Voetbal nasce in Olanda negli anni '70, o comunque è questo il decennio del suo massimo splendore, quando le due squadre di maggior blasone, Ajax in primis e poi Feyenoord, si imposero in Europa, conquistando 4 Coppe Campioni.
Questi grandi risultati a livello internazionale, conquistati da squadre composte quasi esclusivamente da giocatori indigeni, costituivano linfa vitale per la squadra nazionale, che non solo seppe offrire al Mondo un calcio innovativo, ma che sfiorò per ben due volte la vittoria iridata, arrivando a giocare due finali consecutive, nel 1974 e nel 1978, rispettivamente perse contro Germania ed Argentina.
DAI SUCCESSI DEGLI ANNI OTTANTA ALLE ASSENZE DI OGGI
Il primo alloro ufficiale arriverà solo dieci anni più tardi, però, quando lo Squadrone Arancione, guidato da fuoriclasse assoluti come Koeman, Rijkaard, Gullit e Van Basten, fece suo l’Europeo in Germania nel 1988, battendo in finale la Russia, grazie (anche) ad uno dei gol più belli della storia del calcio, un capolavoro balistico ed acrobatico del Cigno di Utrecht, Marco Van Basten.
Dopo il trionfo dell’Olanda battente bandiera rossonera, passano altri 12 anni prima che un risultato importante torni a far brillare l’argenteria arancione: è il 2010 quando l’Olanda gioca un Mondiale da protagonista e perde solo nella finalissima contro una Spagna in piena egemonia TikiTaka, sconfitta solo da un gol del Mago Iniesta arrivato a nove minuti dal termine del secondo temo supplementare.
Nel Mondiale successivo, Brasile 2014, si assiste ad un’altra grande cavalcata orange. Interrotta solo ai rigori questa volta, in semifinale, contro l’Argentina.
Poi sarà bronzo, con la finalina vinta contro un barcollante Brasile, malmenato pochi giorni prima dalla Germania.
Da quella data, era il 9 luglio 2014, sono passati 4 anni da pochi giorni e quest’anno, l’anno del Mondiale russo, l’Olanda non si è qualificata alla fase finale ospitata dal Paese di Putin.
Come due anni fa, quando non era riuscita a staccare il biglietto per Euro 2016 nonostante un girone apparentemente abbordabile poi vinto a sorpresa da Islanda e Repubblica Ceka, la Scuola del Calcio più apprezzata e riconosciuta al mondo è rimasta ancora una volta fuori dai giochi.
A far fuori la disorientata squadra olandese, sul campo, sono state Francia e Svezia (una Svezia a noi indigesta solo pochi mesi più tardi) ma di certo non si può dire che a creare confusione non sia stata proprio la Federazione olandese stessa, capace di cambiare ben 4 allenatori in pochi mesi: fatto fuori il santone Guus Hiddink dopo il fallimento a Euro2016, la squadra va a Danny Blind, il suo vice. A Blind le due sconfitte contro Francia (in casa) e in Bulgaria costano la panchina. Nazionale quindi assegnata, di passaggio, al vice del vice, Fred Grim, prima di affidarsi all’esperienza di un altro guru olandese del passato, Dick Advocaat. Che però non riesce a raddrizzare la barca.
RIPARTIRE DAI GIOVANI TALENTI
La KNVB, la federazione olandese messa da molti sotto accusa sta faticosamente provando a ripartire.
Lo farà basando la sua ristrutturazione su di una sola, incrollabile convinzione: quella che comunque, sebbene un po’ invecchiato e con un’evidente necessità di restyling e di aggiornamento ad ogni livello (compresa una scuola allenatori non più considerabile un’avanguardia in europa, a quanto pare) il Calcio Olandese è tutt’ora capace di sfornare grandissimi talenti.
Le nazionali giovanili continuano ad affermarsi (è di quest’estate la vittoria dell’Europeo Under 17, conquistata ai rigori proprio ai danni dei nostri azzurrini) ed il settore giovanile è ancora indiscutibilmente uno dei migliori d’Europa.
La disamina condivisa dagli esperti è che il lavoro che in patria viene svolto sui ragazzi dai 10 ai 18 anni sia ancora di primissimo livello.
Qualcosa va poi storto dai 18 ai 21.
Quando i migliori se ne vanno, spesso effettivamente troppo giovani e calcisticamente immaturi, rischiando poi di restare inespressi, inghiottiti dalle panchine dei migliori club di Inghilterra, Germania o Spagna, incapaci di spiccare l’ultimo salto di qualità, quello definitivo, che li trasformi in protagonisti assoluti della scena internazionale.
EREDIVISIE: LA "SERIE A" OLANDESE
Ma se da un lato c’è forte delusione per le due illustri esclusioni mondiali, dall’altro vi sono dati e cifre che raccontano, ad esempio, di una Eerdivisie, la serie A olandese, che nel 1996 contava una media di 10.290 persone presenti allo stadio ogni domenica. Oggi siamo saliti a quasi 20.000.
È questo un dato che ha dell’incredibile se messo in relazione con la realtà del mercato dei calciatori in uscita, che prevede che la maggior parte dei talenti sbocciati vengano venduti ai club dei campionati esteri più ricchi dopo una sola stagione promettente, la prima o al massimo la seconda da titolari nella massima serie olandese. Troppo presto.
È invece un fatto più culturale quello che fa aumentare costantemente i tifosi allo stadio: gli olandesi vivono il calcio ancora come un fenomeno di pura aggregazione. Hanno di fatto compreso la necessaria subalternità rispetto ai campionati più ricchi. Ed hanno accettato che negli ultimi 20 anni ben 17 titoli se li sono spartiti Ajax o PSV, lasciando poco o nulla alle altre compagini, di fatto solo a Feyenoord, AZ o Twente.
È dunque un torneo, questa Eredivisie, che presenta alcune caratteristiche tipiche:
- età media giovanissima
- salari assolutamente contenuti
- politica diffusa e condivisa, anche da media e tifosi, della cessione dei pezzi pregiati quando ancora sono diamanti grezzi
- casse delle società sempre in regola.
Il salario medio, per citare un dato piuttosto significativo, è di circa 250.000 euro. Quello della serie A italiana è di 1,3 milioni di euro. Una forbice enorme, che di fatto chiarisce perché le squadre olandesi non possano, e forse nemmeno vogliano, gareggiare contro le corazzate europee che dominano Champions ed Europa League investendo centinaia di milioni di euro, spesso con un pizzico di eccessiva allegria, e con pericoloso sprezzo dei regolamenti sul Fair Play finanziario (un "Caso Milan", per intenderci, in Olanda non potrebbe capitare: un unico club di Eredivisie ha attraversato recentemente un momento di crisi finanziaria, di rosso, esponendosi per soli 900.000 euro).
Una visione più romantica del calcio, poi (ma siamo nel 2018 e di romantico nel calcio è rimasto poco) potrebbe raccontare l’Olanda di oggi come l’ultima Patria del Gioco, un Paese dove ancora si insegna ai ragazzini la bellezza dell’1contro1, del dribbling, della ricerca della superiorità tecnica attraverso il possesso palla, non sempre o non per forza finalizzato a fare goal.
E poi, parliamoci chiaro, non è che in questa Terra Arancione non nascano più o non si formino più i grandi talenti. Diamo una rapida occhiata a quella che potrebbe essere una credibile formazione titolare dell’Olanda ai prossimi Mondiali in Qatar:
Cilles, Tete (Karsdrop), De Vrij, Riedewald, Willems, Klaasen, Blind (Bazoer), Strootman (Wijnaldum), El Ghazi, Luuk de Jong, Depay.
Se a questo 11 aggiungiamo anche qualche nome proveniente alla lista dei più promettenti under 23 olandesi, usciti allo scoperto negli ultimi 12 mesi (come Vincent Janssen, Tony Vilhena, Kongolo, Ramselaar) e mettiamoci pure quel Matthijs De Ligt, centrale difensivo che a soli 17 anni già gioca (e da veterano!) nella formazione-base dell’Ajax (e con la casacca dei Lanceri di Amsterdam ha anche già segnato più di un gol da vero bomber d’area) beh, come direbbe un giornalista sportivo italiano mediamente competente: "C’è chi è messo peggio dell’Olanda".
LE CAUSE DEL FALLIMENTO
Ma allora dove vanno cercate le cause di questo doppio fallimento sportivo?
In direzioni diverse, sicuramente: da una parte una Federazione in costante crisi politica, soprattutto dopo la morte di quel Johann Crujff che, di fatto, ne seppe orientare posizioni e decisioni per qualche decennio, prima di abbandonarla proprio perché ritenuta immobile, anzi, peggio, poggiata su instabili piedi d’argilla, e quindi incapace di rinnovarsi, di evolversi.
Se la politica che governa il calcio in Olanda saprà ritrovarsi e sarà capace di tornare a far insegnare calcio da allenatori preparati e coraggiosi, capaci di accompagnare la maturazione di giovani talenti in erba, è difficile pensare che l’Olanda non possa presto tornare ai livelli cui ha abituato il mondo dagli anni '70 a pochi, pochissimi anni fa.
Così si è espresso recentemente Ronald De Boer, assistente tecnico all’Ajax (e fratello di Frank, ex tecnico dell’Inter) in merito al rinnovamento necessario del calcio Oranjie:
"In due anni possiamo tornare competitivi e qualificarci per Doha, già da due anni il nostro obiettivo principale. Abbiamo eccellente talento, ma è talento non ancora finalizzato ad una maturità di squadra. Credo che spesso i nostri giocatori lascino il Paese troppo giovani per andare nelle grandi leghe. A parte quelli che riusciamo ad attirare ad Amsterdam, nell’Ajax, le altre squadre non riescono ad attirarli e per questo la Eredivisie si sta progressivamente impoverendo, non riuscendo ad allenare a dovere i nostri giovani, quelli che restano in Olanda".
Effettivamente la Eredivisie è attualmente al diciassettesimo posto del ranking mondiale, sopravanzata di recente da Turchia, Repubblica Ceka, Svizzera, Danimarca, Messico. Un piazzamento, quello attuale, che non fa propriamente onore alla recente storia arancione.
È pur vero che nei maggiori campionati europei i giocatori olandesi promettenti o già affermati, ad oggi, non mancano: De Vrij e Strootman dovranno essere i leader carismatici della nuova covata, nella quale spiccano Van De Beek, Kluivert Junior (approdato da poche settimane in serie A, alla Roma), Propper e Promes, oltre a quel Delay di cui si attende ancora l’affermazione definitiva. In attesa che nuovi diciottenni sbarchino presto in zona prima squadra e possano ricominciare ad urlare al mondo intero che il Totaal Voetbal è ancora vivo e vegeto e che presto tornerà a meravigliare la platea calcistica internazionale.
In attesa che questo avvenga, passeggiare per un qualsiasi centro tecnico distribuito sul territorio olandese continua a dare la netta sensazione di trovarsi dove il Calcio è ancora fondamentalmente un gioco.
Dove ogni giocatore, dai 5 anni in su, cresce e matura invogliato, spinto, stimolato da genitori, allenatori ed ambiente, a costruire calcio, a gioire del possesso del pallone, a condividere con i compagni un’idea di calcio propositivo, intraprendente, non schiavo del Dio Risultato, cosa che oramai accade in buona parte dei settori giovanili di tutto il mondo.
Quello che forse manca al calcio olandese, in questo momento storico difficile, quanto meno rispetto ai deprimenti risultati nelle competizioni internazionali, è un confronto costruttivo con altri sistemi ed altre metodologie, in direzione di quella che potrebbe poi rivelarsi un’integrazione virtuosa: da una parte la filosofia oranjie, l’idea del Calcio Totale (tutt’ora affascinante ed assolutamente condivisibile) dall’altra l’evoluzione tattica che il calcio moderno porta con sé, obbligando tutti, dai brasiliani storici padroni della tecnica giù giù sino agli islandesi, nuovi protagonisti della scena internazionale grazie al loro calcio fisico, (quasi) rugbistico.
Di certo, se qualcuno, proprio in Olanda, ha recentemente sostenuto che "Gli olandesi hanno bisogno di guardare soprattutto alla Germania, il Paese in cui è stato inventato il calcio di nuova generazione", appare evidente, al netto dell’antico odio calcistico sempre esistito tra olandesi e tedeschi, ciò significa che il calcio va talmente veloce che per (continuare a) capirlo è assolutamente necessario rinnovare, rinnovarsi.
Johann Cruyff, se da lassù stesse osservando quel che accade nella sua amata Olanda, aprirebbe sicuramente al Nuovo, con grande entusiasmo, qualunque cosa questo potesse poi significare…
Foto di: Rob Mieremet / Anefo (Nationaal Archief), Kathi Rudminat